venerdì 16 agosto 2013

Figlio del mondo

15/08, Seattle.
Forse l'ho già scritto, ma l'orario più bello qui e forse ovunque ora che ci penso, è alle 20:30.
Sono uscito dalla palestra dove mi sono sfogato un po', successivamente sono entrato in una doccia calda, sapevo che quella sarebbe stato il colpo di grazia per rilassarmi; giusto un particolare: il giapponese ben piazzato con gli occhi truccati, che ogni tanto si affacciava nella mia doccia per vedere...mmm forse gli piaceva il mio tattoo nel braccio. Non ho indagato.
La palestra si trova subito dopo fuori il centro, per arrivare mi lascio i grattacieli alle spalle e per rientrare me li ritrovo davanti, come in questo momento.
Prima di essere inghiottito però ho i miei 10 minuti a piedi e posso immergermi nel colore della sera estiva di Seattle.
Il colore è dolce, non c'è più il sole ma c'è molta luce. Si parte dal bianco in basso, poi il rosa fino al grigio molto chiaro.
Il sole abbandona quel lato del mondo e tende la mano alla luna, abbassa la sua temperatura così da non scottarla, ne lei, ne il suo manto che più tardi porterà a sognare i più romantici. Questo colore tenue mi dà la possibilità di poter vedere tutto in maniera molto nitida. Ho davanti un quadro, un cielo splendido, riesco a vedere perfettamente la tridimensionalità dei grattacieli anche a distanza. Un aereo attraversa il quadro, è l'unica cosa che si muove in quel momento. Sento anche un grillo, non mi era mai capitato fin'ora di sentirlo qui. “Krii Krii Krii”.
Mi volto per cercare la direzione dell'insetto musicista. “Krii Krii” “Grii Grii” … “Trii Trii Trii”.
Ehm... era solo un cancello automatico e me la rido.
Sposto la testa in alto, i grattacieli. Entro in città.
La parola città però non rende in questo momento. Perchè se penso a città mi viene in mente un insediamento umano, con una certa densità di popolazione. Sono quasi le 20:45 e c'è una città vuota. Spenta, disabitata. Non passano nemmeno macchine.
Ho anche la fortuna di non sentire sirene.
Mi trovo a Seattle, non credo sia da paragonare a una metropoli come New York, ma è comunque abbastanza popolata.
Il centro, ora che ci penso, che è fatto di grandi palazzoni a prova di vertigine, in realtà è composto prevalentemente da uffici.
Ho davanti a me uno scenario post apocalittico. Riesco a sentire i miei passi rimbalzare tra un muro e l'altro, sento il mio respiro. Non si muove NULLA. Un'ora fa regnava il caos.
Grattacieli che sembrano completamente vuoti! I mostri di vetro che dovrò attraversare per qualche chilometro tra strade in discesa e salita mi fanno sentire molto piccolo, il tutto aiutato dal silenzio.
Mi viene in mente una scena comune a due film.
Mi sveglio da un coma profondo durato diversi mesi, al mio risveglio l'ospedale è completamente vuoto e messo sottosopra. Esco dall'ospedale e in città non c'è più nessuno, strade desolate. Strade americane, enormi deserte. Mi aspetto di trovare zombie che mi inseguono per mangiarmi.
Comunque riesco a passare i grattacieli incolume, un pullman fermo alla fermata, l'autista legge un giornale, taxi, ancora palazzi, questa volta più alla mia portata. Mi sembra di esserci vissuto qui. Ci sono dei particolari che rendono questo posto uguale alle città dove ho già vissuto. Un gabbiano vola e sbraita un po', mi arriva una ventata d'aria fresca, si sente l'odore del mare. Milano, Roma, Cagliari. Ogni tanto “tutto il mondo è paese” è la frase giusta.
Sono nato a Cagliari, sono sardo, sono italiano, ma sono figlio del mondo e lo sento ovunque vado.

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