domenica 22 dicembre 2019

Come la musica sott'acqua

Ci sono 3 momenti dove riesco a vivermi la passione per la musica.
Il primo è quando metto la musica che mi fa ascoltare le parole, che mi disegna dentro qualcosa che ho conosciuto o qualcosa che vorrei fosse così come lo sento. Metto play, spingo un pò le basse frequenze dal mixer, mi metto la faccia di fronte alle casse e chiudo e apro gli occhi. Sento come un blocco emotivo che mi accorcia il respiro e nel mentre la musica disegna, disegna, e disegna ancora. Qualche volta disegna il dolore, altre volte disegna la bellezza. Mi rende umano.
Qualche volta odio la musica. 
La seconda è bellissima.
Capita durante i concerti un momento dove realizzo che tutti quegli strumenti rumorosi tessono strutture armoniche e melodiche, creando un supporto l’uno con gli altri dove potersi immergere. Un legame. La musica quando si esprime in me perde i confini fisici e non succede spesso. Quando sento questo mi volto dai miei compagni mentre suonano e li guardo ad uno ad uno e penso di sentirmi in mezzo a questa densità astratta, che sono un elemento musicale e quello è il momento più felice dove godo di questo scambio. La musica è uno scambio, non la considero la mia vita. Come potrei?! Fa parte della mia vita, non salva vite. Leggo spesso e sento spesso dire: la musica per me è tutto, la musica è la mia vita. Dirò una cosa presuntuosa, ma non ci credo, sono parole superficiali. Se proprio devo dirla tutta, la musica ha la capacità di renderti molto triste, tutt’altro che salvarti. No? Di affondare la lama dove non dovrebbe, magari si è pure consapevoli di questo e lo ricerchiamo. Ho avuto un amico che ha fatto della musica la sua culla per la sua morte. La musica fa parte della mia vita, una bellissima parte, perché mi ha dato amici, colleghi, momenti di scambio, un lavoro, immagini e parole e molte gratificazioni. La musica fa parte di noi, ma non è tutto. Lo penso fermamente. Muove, muove tanta roba, ma mi prendo la responsabilità di affermare che a salvarmi sono sempre stato io, non l’ho fatto pensando alla musica, ti assicuro che è l’ultima cosa che pensi, se ti ricordi a cosa hai pensato.
Il terzo.
Sono all’ultima canzone, non ho più le parole da cantare stasera, per stanotte ho finito la mia voce per voi, per te, penso.
 Lascio spazio ai musicisti che eseguono gli ultimi colpi per arrivare alla chiusura. Anche quello è un momento particolare, è un mix tra il primo e il secondo momento. 
Il primo perché è finito, dovrò “scendere dal mio piedistallo” di sicurezza e serenità e affrontare il mondo che mi circonda, che magari mi stima, quello che non mi sopporta, che spegne il sorriso non appena mi volto, quella parte che vorrebbe qualcosa di più, parole, voce, contatto, il mondo dei pensieri buoni o cattivi. 
Il secondo perché è divertente, suono con belle persone, spesso capita di fare la musica di quando ero piccolo, i miei musicisti sono quasi sempre dei professionisti e mi sento fortunato. 
Quando si arriva quasi alla fine qualche volta mi abbasso sulle ginocchia o mi siedo. In genere uso delle cuffie (in-ear monitor) per sentire tutto quello che succede nel palco, sono molto isolanti e quando mi abbasso butto giù l’adrenalina, perchè alla fine cerco di dare tutto, vorrei essere stremato, sudato, voglio essere stanco. 
Aspetto che il cuore abbassi il suo battito e sposto il cursore del volume della mia cuffia a zero. Non sento quasi più nulla. Non importa quanta gente ci sia, ma è tutto sordo, l'unico suono che si sente è quello della batteria come se fosse chiusa dentro 100 scatole. Mi piace quella sordità, isola. Puoi guardare tutto e tutti come se fosse tutto in silenzio o sott’acqua, il mondo fuori ride, si muove, parla, sbatte le mani, io non sento quasi nulla, ma sento me in mezzo a tutti. 



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